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Dati OCSE: i giovani italiani andranno in pensione a 71 anni
Dati OCSE i giovani italiani andranno in pensione a 71 anni

Dati OCSE: i giovani italiani andranno in pensione a 71 anni

Per i giovani italiani il futuro pensionistico è tutt’altro che roseo, come emerge ormai da tempo da studi, report e proiezioni demografiche. Secondo le stime OCSE, infatti, potrebbero dover lavorare fino a 71 anni, peraltro con assegni pensionistici che, rapportati agli ultimi stipendi, saranno molto contenuti.

In questo articolo analizzeremo i dati OCSE, segnalando in particolare l’anomalia rilevata sui redditi italiani, con gli over 65 che risultano più “ricchi” degli adulti ancora attivi nel mercato del lavoro

Indagheremo le ragioni di questo paradosso, a partire dalla crisi demografica e dal conseguente invecchiamento della popolazione.

Scopriremo, poi, quali sono le considerazioni emerse dall’undicesimo report di Itinerari Previdenziali e le proposte di riforma delle pensioni per far fronte alla crisi del sistema previdenziale pubblico.

Andremo inoltre a rilevare la crescente importanza della previdenza complementare, e dunque dei fondi pensione negoziali come Telemaco, per sostenere il tenore di vita di chi si ritira dal lavoro con assegni pubblici sempre più ridotti.

Infine, analizzeremo i benefici derivanti da un’adesione precoce al fondo pensione, fin dal primo impiego o addirittura per conto dei propri figli ancora minori, sfruttando l’opportunità dell’adesione dei familiari fiscalmente a carico.

In pensione a 71 anni: i dati OCSE

L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), che si occupa di studi economici per le economie sviluppate, ha pubblicato il suo studio annuale sui sistemi pensionistici che analizza la situazione delle 38 nazioni appartenenti all’Organizzazione.

Come accennato, lo studio rileva come nel nostro Paese, e in altri quattro (Lussemburgo, Israele, Costa Rica, Messico), sia presente una anomalia legata ai redditi delle popolazione: il reddito medio delle persone con più di sessantacinque anni è superiore a quello del resto della popolazione.

Nel dettaglio:

  • il reddito degli ultrasessantacinquenni è pari al 103% della media nazionale;
  • se si restringe l’analisi alla fascia di età compresa tra i 66 e i 75 anni, il dato sale al 111,6%;
  • per gli over 75, invece, si scende sotto la media, con redditi che si attestano al 94,2%.

Considerando che, sempre secondo OCSE, i redditi delle persone over 65 sono pari all’88% del dato medio della popolazione, la situazione italiana risulta, di fatto, anomala.

Perché questo accade? Perché chi lavora guadagna meno di chi è in pensione e non viceversa?

Le ragioni sono molteplici e tutte contribuiscono ad aggravare un problema che si ripercuote sul futuro pensionistico dei più giovani

Per comprenderle, possiamo condensarle in due macro temi:

  • lavoro discontinuo e povero: rispetto a quanto avveniva per i baby-boomer, cioè gli attuali pensionati, il mercato del lavoro si è fatto sempre più precario, con carriere discontinue e compensi che offrono ai figli un potere di acquisto inferiore rispetto a quello dei padri.
  • inverno demografico e invecchiamento della popolazione: con il costante calo delle nascite, combinato a una crescente speranza di vita (si muore sempre più tardi), il numero di persone in età da lavoro crollerà del 35% tra il 2022 e il 2062. In particolare, l’Organizzazione stima che nel 2052 il rapporto tra over 65 e 20-64enni raggiungerà il 78%, contro il 54% della media dei Paesi OCSE.

La necessità di mantenere gli italiani al lavoro per sostenere il sistema pensionistico pubblico, che ricordiamo basarsi sulla ripartizione (chi lavora con i suoi contributi paga le pensioni di chi è in pensione), porta l’OCSE a stimare che gli attuali ventenni saranno costretti ad andare in pensione non prima di 71 anni di età. Ricordiamo, a tal proposito, che nel 2024 l’età per andare in pensione è fissata a 67 anni, salvo anticipi pensionistici.

Leggi anche il nostro articolo Legge di bilancio 2024: le novità a tema pensione.

Lavorare fino a 71 anni: i limiti del sistema previdenziale italiano

Alle condizioni attuali, dunque, il sistema pensionistico italiano può reggere soltanto a condizione che l’età per il pensionamento venga innalzata, fino a raggiungere il limite record di 71 anni, e che gli assegni si riducano, come sta avvenendo con il passaggio dal vecchio sistema retributivo a quello contributivo.

L’undicesimo Rapporto Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2022, del centro studi di Itinerari Previdenziali, fornisce un punto di osservazione aggiuntivo: la necessità di scorporare previdenza e assistenza, in modo da valutare il dato previdenziale “pulito” dalla spesa dedicata a forme di sostegno diverse dalle pensioni da lavoro. 

In sostanza, si propone la separazione dei dati relativi alle pensioni da lavoro da quelli relativi a tutte le altre forme di assistenza, come sussidi e aiuti vari che fanno capo all’INPS.

Secondo Itinerari Previdenziali, infatti, valutando la sola previdenza l’Italia spenderebbe per le pensioni da lavoro un importo pari a circa il 13% del PIL, in linea con la media europea del 12,6%, e non il dato complessivo del 16,7% rilevato nel 2022 che tiene consto anche delle prestazioni assistenziali.

Questo è un tema, ma non la soluzione, come sottolineato anche da Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali:

“L’Italia prenda consapevolezza di essere dinanzi alla più grande transizione demografica di tutti i tempi”

A suo parere, le possibili soluzioni consisterebbero in:

“Limitare le numerose forme di anticipazione a pochi ed efficaci strumenti, come fondi esubero, isopensione e contratti di solidarietà [tutte forme di accompagnamento alla pensione per chi perde o rischia di perdere il lavoro in età avanzata, NdR]

Inoltre, Brambilla ipotizza di:

  • bloccare l’anzianità contributiva a 42 anni e 10 mesi per gli uomini, un anno in meno per le donne;
  • garantire sconti alle madri e ai lavoratori precoci;
  • riconoscere un superbonus a chi sceglie di continuare a lavorare fino a 71 anni;
  • equiparare le attuali regole di pensionamento per i lavoratori contributivi puri (coloro che hanno iniziato a lavorare a partire dal 1996) a tutti gli altri, cioè a chi beneficia ancora del miglior trattamento retributivo.

Dunque, torniamo al punto di partenza: alla necessità di restare a lavoro più a lungo e di applicare un metodo di calcolo delle pensioni che rispetto al passato è penalizzante.

Il ruolo crescente dei fondi pensione

Sia i dati OCSE che le analisi di itinerari Previdenziali disegnano un contesto molto complesso per il sistema previdenziale pubblico italiano. Ed è in questo contesto che si inserisce la crescente importanza della previdenza complementare, e dunque dei fondi pensione, dal momento che la pensione integrativa è diventata ormai imprescindibile per la tutela del tenore di vita dei lavoratori al momento del loro ritiro.

La previdenza complementare rappresenta ormai un pilastro del sistema previdenziale italiano, che non riesce più a reggersi soltanto sulle pensioni pubbliche per tutte le ragioni illustrate nei paragrafi precedenti, e i nati nel 2000 non dovranno fare i conti soltanto con un pensionamento che si allontana fina a raggiungere i 71 anni, ma anche con un tasso di sostituzione che si va restringendo

Cosa vuol dire? Fatto cento l’ultimo stipendio, il tasso di sostituzione si calcola in percentuale rispetto all’importo del primo assegno pensionistico pubblico, e le previsioni anche in questo caso non sono rosee. 

La Ragioneria Generale dello Stato ha prodotto delle stime sul 2070: per fare un esempio, il tasso di sostituzione di un lavoratore dipendente del settore privato con anzianità contributiva pari a 38 anni sarà pari al 58,5% (nel 2010 era pari al 73,6%).

Dunque, oltre all’età pensionabile occorre fare molta attenzione al reddito che si andrà a percepire, nonché alle esigenze che in età avanzata cambiano e possono diventare finanziariamente onerose.

Ecco che scegliere di aderire a un fondo pensione, costruendo una pensione che vada a integrare quella pubblica, rappresenta l’opportunità di proteggere il proprio tenore di vita e anche reddito e patrimonio dei propri cari.

Leggi anche il nostro approfondimento Tasso di sostituzione pensione: cos’è e come si calcola

Perché aderire al fondo pensione fin da giovane

I ventenni di oggi, dunque, sanno già che andranno in pensione superati i settanta anni e con assegni che potrebbero essere pari a meno del 60% degli ultimi stipendi. Ecco perché aderire a una forma di previdenza complementare fin da giovani, dal primo impiego o per conto dei propri figli minori, consente loro di immaginare un futuro finanziariamente meno cupo.

I giovani, inoltre, possiedono una risorsa fondamentale: il tempo. Avviare il proprio risparmio previdenziale in giovane età consente di accumulare importi interessanti con uno sforzo finanziario contenuto poiché:

  • prima si inizia a versare contributi, minore sarà l’importo dell’accantonamento necessario a raggiungere i propri obiettivi finanziari;
  • con un’ampia disponibilità di tempo, è possibile scegliere linee di investimento con un rapporto rischio/rendimento più elevato, sfruttando la possibilità di ottenere rendimenti più alti e anche la possibilità di mitigare eventuali perdite in un orizzonte temporale lungo.

Se poi si sceglie di aderire a un fondo pensione negoziale come Telemaco, è possibile destinare al risparmio previdenziale anche il proprio TFR e, a fronte di un contributo proprio, il contributo aggiuntivo a carico del datore di lavoro. I fondi negoziali, inoltre, sono istituiti senza scopo di lucro e dunque applicano costi più contenuti rispetto ad altre forme di previdenza complementare.

Per approfondire questo tema, vai alla nostra guida I vantaggi della pensione integrativa per i giovani.

Messaggio promozionale riguardante forme pensionistiche complementari. Prima dell’adesione leggere la Parte I “Le informazioni chiave per l’aderente” e l’Appendice “Informativa sulla sostenibilità” della Nota informativa.

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