Il calo demografico, noto giornalisticamente come “inverno demografico”, è un fenomeno che interessa il nostro Paese da tempo e che, secondo le previsioni, si aggraverà ulteriormente nei prossimi decenni, portando diverse conseguenze economiche e finanziarie.
In questo articolo esamineremo le più recenti rilevazioni e stime dell’ISTAT sulla popolazione residente in Italia, concentrandoci sul crollo delle nascite, sull’innalzamento dell’età media e sulle cause di queste tendenze.
Analizzeremo poi come il calo delle nascite influenzi profondamente la struttura del sistema pensionistico pubblico, basato su un patto generazionale che funziona efficacemente solo in presenza di una popolazione in crescita.
Infine, vedremo qual è il ruolo dei fondi pensione nell’offrire un supporto previdenziale dei loro aderenti, anche in un contesto di calo demografico, grazie al sistema a capitalizzazione.
Calo demografico in Italia: i dati e le stime ISTAT
L’ultima rilevazione demografica dell’ISTAT, aggiornata ai dati del 2023 e pubblicata il 25 luglio 2024, è inequivocabile: la popolazione residente nel nostro Paese è in diminuzione. Dai circa 59 milioni di abitanti registrati al 1° gennaio 2023, si prevede una discesa a 58,6 milioni entro il 2030, e poi un ulteriore riduzione a 54,8 milioni nel 2050 e a 46,1 milioni nel 2080.
Oltre a questo, si evidenzia anche un fenomeno preoccupante di invecchiamento della popolazione. Entro il 2050, l’età media raggiungerà i 50,8 anni, portando il rapporto tra persone in età lavorativa (15-64 anni) e non lavorative (0-14 e 65 anni e oltre) da circa tre a due nel 2023 a uno a uno. In pratica, tra poco più di 25 anni, ogni lavoratore sosterrà una persona che non lavora, con serie implicazioni per il sistema previdenziale, che approfondiremo nel seguito.
Le cause di questo andamento demografico risiedono nella combinazione di diversi fattori:
- il calo delle nascite, dovuto alla progressiva riduzione dei nuclei familiari (per ragioni economiche e sociali), con il numero medio di componenti per famiglia previsto in discesa a 2,08 nel 2043 (nel 2023 era pari a 2,25);
- un numero di nascite insufficiente a compensare i decessi: si stima che, entro il 2080, ci saranno 21 milioni di nascite contro 44,4 milioni di decessi, con questi ultimi più che doppi rispetto ai nuovi nati;
- l’incremento costante della speranza di vita, con un’età media alla nascita prevista nel 2080 di 86,1 anni per gli uomini e 89,7 anni per le donne, rappresentando un guadagno di 4,8 anni per i primi e di 4,4 anni per le seconde rispetto al 2023.
Calo demografico e sistema previdenziale pubblico
I dati rilevati e stimati dall’ISTAT – riduzione delle nascite, aumento della speranza di vita e conseguente invecchiamento della popolazione – sollevano interrogativi su un aspetto cruciale del Paese: la sostenibilità del sistema previdenziale pubblico.
Il sistema pensionistico pubblico italiano si basa infatti sul metodo a ripartizione, che risente negativamente del calo demografico. In sintesi, questo metodo funziona nel seguente modo: i lavoratori attivi versano i loro contributi previdenziali obbligatori all’INPS, che li registra ma non li accumula in un conto personale del lavoratore per investirli. Al contrario, i contributi vengono utilizzati immediatamente dall’INPS per finanziare le pensioni correnti, ovvero gli assegni degli attuali pensionati.
In un contesto di declino demografico e invecchiamento della popolazione questo sistema perde efficacia, poiché il patto generazionale su cui si fonda funziona solo se la forza lavoro è numericamente superiore ai pensionati. Tuttavia, come evidenziato, secondo le ultime stime nel 2050 il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati sarà di uno a uno, rendendo insostenibile il completo sostegno della spesa pensionistica da parte dei lavoratori attivi.
Come saranno le pensioni del futuro?
Il sistema a ripartizione ha costretto e continua a costringere i governi a intervenire sulla previdenza pubblica con una serie di riforme, che già oggi hanno prodotto due effetti principali:
- un innalzamento dell’età pensionabile, con l’OCSE che prevede per i giovani di oggi un’età di pensionamento intorno ai 71 anni;
- una riduzione dell’importo degli assegni pensionistici, con la Ragioneria Generale dello Stato che segnala un costante calo del tasso di sostituzione, ovvero il rapporto tra l’ultimo stipendio e il primo assegno pensionistico.
Di conseguenza, le pensioni pubbliche del futuro potrebbero risultare tardive e insufficienti a preservare il tenore di vita di chi oggi è attivamente al lavoro, e ancor più delle generazioni più giovani. In attesa di nuovi interventi istituzionali, per i lavoratori diventa dunque sempre più importante avviare per sé e per i propri figli un progetto di risparmio e investimento a scopo previdenziale, utile a mitigare questi effetti.
Qual è il ruolo della previdenza complementare?
La previdenza complementare, e i fondi pensione negoziali come Telemaco, adottano il sistema a capitalizzazione individuale, in alternativa al metodo a ripartizione. Questo approccio risponde molto meglio alle nuove esigenze previdenziali in un contesto di calo demografico, che, come abbiamo visto, sembra destinato ad aggravarsi nei prossimi decenni.
La capitalizzazione individuale è un meccanismo finanziario in cui i contributi versati da ciascun aderente confluiscono nella propria posizione individuale – una sorta di “conto personale” dell’iscritto – e vengono investiti nei mercati finanziari per generare rendimenti, incrementando così il capitale destinato alla pensione integrativa futura.
A differenza del sistema a ripartizione, i contributi rimangono a beneficio di chi li ha versati e non vengono usati per finanziare le pensioni di altri. Questo metodo, basato su posizioni individuali, non dipende quindi dal rapporto tra lavoratori attivi e pensionati, risultando decisamente più adatto a rispondere alle sfide demografiche. È perciò fondamentale affiancare la previdenza complementare a quella pubblica per rafforzare le proprie garanzie previdenziali.
Le proiezioni demografiche per il futuro rendono l’adesione a un fondo pensione praticamente imprescindibile per tutti i lavoratori, specie per i giovani e giovanissimi, che dovranno affrontare un panorama previdenziale più incerto rispetto a quello delle generazioni precedenti.
Aderire in giovane età a Fondo Telemaco, possibilmente fin dal primo impiego (o addirittura prima, in caso di iscrizione dei propri figli, anche minori), consente infatti di massimizzare le opportunità della partecipazione alla previdenza complementare, in particolare per quanto riguarda la destinazione dei propri contributi al Profilo Life Cycle, che prevede l’automatico trasferimento della posizione maturata verso il comparto, o la combinazione di comparti, più adatti in funzione della distanza temporale che separa l’iscritto dal pensionamento.
Sul tema consigliamo la lettura anche del nostro approfondimento I vantaggi della pensione integrativa per i giovani.
Messaggio promozionale riguardante forme pensionistiche complementari – prima dell’adesione leggere la Parte I ‘Le informazioni chiave per l’aderente’ e l’Appendice ‘Informativa sulla sostenibilità’, della Nota informativa.